Nelle ultime settimane in Francia sono infuriate proteste di cui poco sembra riguardare noi italiani. Sono problemi di Macron, e poi si sa che ai francesi piace scioperare. Figurati se accettano un’età pensionabile come la nostra. Loro sì che sanno protestare in massa.

Però commenti come questi servono a poco. Quei fatti raccontano i nostri tempi e molto di quello che avviene da loro riguarda da vicino anche l’Italia.

C’è un’immagine in particolare che mi ha fatto un certo effetto, ed è quella di una camionetta della polizia ammaccata, imbrattata e in fiamme. La scena viene dai campi di Sainte-Soline, tra Nantes e Bordeaux.

Il piccolo comune francese è diventato un luogo simbolo, come lo fu Lutzerath in Germania qualche mese fa. Paesi mis-sconosciuti, luoghi di produzione che vanno in crisi e diventano il teatro di proteste emblematiche del rapporto che hanno con i luoghi di consumo, cioè le città.

Se Maometto non va dalla crisi ecologica, la crisi ecologica va da Maometto.

Le proteste di Sainte-Soline sono portate avanti principalmente dal collettivo di associazioni “Bacini no grazie”.

Combattono contro un modello agricolo che mette a repentaglio la qualità e la quantità delle acque di falda, sottraendole all’ecosistema e agli usi civili per destinarle all’irrigazione di colture intensive di mais, a loro volta destinate agli allevamenti industriali, con un impatto negativo sull’ambiente e sulla salute.

Come dice Andrea Goltara di #cirf, costruire opere infrastrutturali crea altri problemi, invece bisogna agire sul contenimento della domanda.

In Europa usiamo il 40% della preziosa acqua dolce per soddisfare la richiesta di carne. Quell’acqua viene sottratta all’agricoltura destinata all’alimentazione umana e finisce per essere “dissipata” con altri danni all’ambiente, infatti l’acqua usata negli allevamenti intensivi viene restituita in ambiente nella forma di reflui zootecnici (che comportano inquinamento delle acque e dei terreni, effetto serra, patogeni).

Si tratta di un circolo vizioso che genera inquinamento, siccità e conflitti sociali.

Il mais per gli allevamenti viene coltivato spesso in monocultura, cioè senza alternare altre specie vegetali che potrebbero migliorare la fertilità del suolo e la biodiversità. Richiede tantissima acqua per crescere, soprattutto a luglio, proprio il mese critico in caso di siccità prolungata. In Francia questa coltura occupa circa 1,5 milioni di ettari, il 10% della superficie agricola utilizzata. Di questi, il 70% è destinato alla produzione di granella per l’alimentazione animale e il 30% alla produzione di foraggio per il bestiame.

I bacini per cui si protesta oltralpe saranno scavati nel terreno, impermeabilizzati con teli di plastica e spesso riempiti sfruttando l’acqua di falda.

In Italia, ecco perché l’argomento ci può e deve interessare, abbiamo il #PianoLaghetti che punta a realizzare 10.000 invasi medio-piccoli e multifunzionali entro il 2030, in zone collinari e di pianura. I laghetti saranno aree di raccolta di acqua piovana o alimentati con acqua di falda. Sempre CIRF spiega che gli invasi sono una delle principali cause di perdita della #biodiversità nei bacini fluviali. L’acqua raccolta ristagna ed evapora in buona parte. Gli invasi creano interruzione dei sedimenti quando costruiti lungo i corsi fluviali, con impatti su tutto il sistema idrico. Se i sedimenti non viaggiano causano una maggiore erosione delle coste con altri impatti sull’economia costiera che a sua volta si trova a realizzare altre opere per il contenimento delle acque. E altre cementificazioni. Sono le pazzie del modello di sfruttamento delle risorse. In questo caso, un modello che vuole costruire nuovi bacini per servire una agricoltura che è concausa del grande consumo d’acqua.

La via giusta la sta provando a tracciare l’Europa con #EUNatureRestorationLaw per riparare i fiumi degradati, togliere le barriere ecologiche (invece di costruirne altre!). E poi più aree umide e foreste. Così l’acqua piovano non sarà “perduta”, ma sarà la fonte di alimentazione delle aree rinaturalizzate le quali riescono a trattenerla, purificarla e restituirla più lentamente all’ambiente e a noi soprattutto.

In fondo non è difficile da spiegare e neppure da capire.

Il modello di sfruttamento delle risorse a breve termine può essere combattuto. La verità è che i nostri attuali consumi di carne sono insostenibili. Punto. Sono insostenibili per la Francia, per il nostro paese, così come per la Cina o il Sud America. Non è che poi dobbiamo importarla, la carne, esportando i danni altrove. Dobbiamo modificare gli stili alimentari e smettere di consumarla tre volte alla settimana. Troppa carne fa pure male.

L’argomento è immenso e si collega a molteplici temi. Dalle produzioni di colture per il #biogas e al fatto che la rete idrica nazionale perde per strada il 40% dell’acqua dolce.

Cia-Agricoltori Italiani prevede crolli produttivi dal 10% fino al 30%, per il mais e il riso nei prossimi anni. Ma possiamo passare a colture meno bisognose di irrigazione come fagioli, lenticchie, ceci… guardacaso la dieta con cui dovremmo rimpiazzare l’eccesso di carne.