Rileggendo a distanza di tempo il manifesto di CS1BC riconfermo la mia piena adesione alle considerazioni e alle richieste che abbiamo espresso.

Tra queste per me la problematica più urgente resta quella della comunicazione. Spesso noi attivisti, pur parlando con cognizione di causa e basandoci su studi e statistiche, restiamo lontani, estranei alla massa che vorremmo raggiungere e che auspichiamo ci seguisse.
Resta una frattura comunicativa.

E avverto un pericolo: di questa frattura si sta approfittando molto rapidamente ed efficacemente proprio il sistema che vorremmo combattere e ridimensionare.
Se, infatti, da una parte si parla molto di più di un tempo dei problemi legati all’ambiente, dall’altro si assiste ad una banalizzazione preoccupante di questi temi: la televisione è invasa di greenwashing, per giunta di bassissima lega, fatta di ritornelli pubblicitari rassicuranti che inducono la gente a “sentirsi a posto”, ad aver fatto la propria parte per la salvaguardia dell’ambiente semplicemente acquistando il “tal” prodotto.
Persino i servizi dei tg sui cambiamenti climatici, che prima salutavo come segno di nuovo interesse, mi paiono ora una sorta di “cronaca nera ambientale”: alla gente piace ascoltare con morbosità notizie di delitti e disastri stando protetta dalle mura della propria casa.
La gente vuole tornare a sonnecchiare cullata dalla comoda vita che faceva prima.


L’espressione “emergenza climatica e ambientale” rischia di diventare un altro rumore di sottofondo della quotidianità.
Purtroppo, non ho una ricetta per contribuire a colmare questa frattura.
Io cerco di farlo quotidianamente più con l’esempio che con le parole, ma devo ammettere che i risultati non sono incoraggianti: la gente attorno a me continua a condurre la vita di prima senza modificare in nulla o quasi il proprio stile di vita; e la conseguenza è che non mostra interesse nel far pressione sulla politica e sui decisori di ogni livello perché vengano prese le drastiche iniziative che noi chiediamo con urgenza.